Quale artista italiana avrebbe potuto confrontarsi con i lavori potenti e viscerali di Regina José Galindo? Quale altra voce avrebbe potuto gridare così forte da rompere il silenzio e testimoniare la violenza, gli abusi, l’orrore, l’atrocità della realtà che ci circonda? Il pensiero è arrivato veloce a Letizia Battaglia (Palermo, 1935), un mito della fotografia italiana, che dialoga con Diego Sileo, conservatore del PAC e curatore della mostra Estoy Viva e Francesca Alfano Miglietti, teorico e critico d’arte, curatore della mostra di Letizia Battaglia “Gli Invincibili” che inaugura il giorno seguente allo Spazio Nonostante Marras.
Abituata a vedere la morte in faccia e testimone di violenze senza fine, Letizia Battaglia ha immortalato le scene dei crimini di mafia a Palermo a partire dagli anni 70, quando i Corleonesi trasformarono la sua città nel fulcro dei loro traffici di droga e la portarono sull’orlo di una guerra civile. Fermando con il suo obiettivo il tempo e lo spazio intorno alle vittime di omicidi e violenze, uomini e donne che pochi minuti prima in quelle stesse stanze erano vive, l’artista siciliana ha fotografato le notti e i giorni di Palermo, lavorando anni per tenere aperti gli occhi del mondo sulle atrocità commesse nella sua terra, prima come giornalista durante gli Anni di Piombo, poi come fotografa in Francia, Gran Bretagna, America, Brasile, Svizzera, Canada, paesi dell’Est. È stata la prima donna europea a ricevere nel 1985 il Premio Eugene Smith a New York - riconoscimento internazionale istituito per ricordare il fotografo di Life - e nel 1999 ha ricevuto il Mother Johnson Achievement for Life.
La Sicilia è per Battaglia quello che il Guatemala è per Galindo: una terra dilaniata, che le ha dato la vita e ne ha chieste troppe altre in cambio, dove la bellezza chiede quotidianamente il permesso di esistere alla violenza. La Sicilia come il Guatemala è terra di vulcani, sotto ribolle dolore allo stato liquido. Ma, come il Guatemala, è solo un punto di partenza per osservare il mondo, per raccontare una storia che ci tenga svegli. Quel che cambia è soltanto lo strumento: per Regina Josè Galindo è il corpo a non dimenticare, per Letizia Battaglia sono gli occhi, attraverso la lente di una macchina fotografica.