a cura di Diego Sileo e Douglas Fogle
Il PAC presenta la prima ampia mostra personale di Luisa Lambri in Italia, un progetto espositivo pensato e sviluppato appositamente per il padiglione milanese.
Concentrandosi principalmente sulla fotografia, il lavoro di Lambri è caratterizzato da un impegno con un esteso spettro di soggetti che ruotano attorno alla condizione umana e al suo rapporto con lo spazio, come la politica della rappresentazione, l’architettura, la storia della fotografia astratta, il modernismo, il femminismo, l’identità e la memoria.
L’installazione delle sue fotografie e lo spazio espositivo costituiscono una parte integrante del suo lavoro. Ogni nuovo luogo che accoglie una sua installazione presenta qualità uniche con le quali l’artista interagisce, rendendo ogni progetto un’opera site-specific. Le opere di Lambri non sono mai installate indipendentemente dalla struttura che le ospita.
Il titolo della mostra al PAC è un omaggio alla critica d’arte Carla Lonzi che nel 1969, prima di lasciare la professione per dedicarsi alla militanza femminista, pubblica sotto il titolo di “Autoritratto” una raccolta di interviste con quattordici artisti scelti da lei nell’esperienza dell’avanguardia anni ‘60. Il dialogo che ne deriva dà una dimensione degli artisti privata e che privilegia il loro ruolo attivo nel parlare in prima persona di sé e del proprio stare nell’arte e nel mondo. Allo stesso modo Lambri costruisce letture personali e intime dei soggetti da lei scelti per i suoi lavori e incoraggia un dialogo tra l’osservatore, l’opera d’arte e lo spazio in cui si trova nel loro complesso.
Il progetto al PAC si concentra sui rapporti tra le opere di Lambri e l’architettura di Ignazio Gardella. Le fotografie diventano una vera estensione dello spazio e, di conseguenza, l’architettura di Gardella e l’esperienza soggettiva dei visitatori una parte integrante del lavoro.
Una vasta selezione di opere, alcune mai presentate prima in Italia e realizzate tra il 1999 e 2017, sottolineano la sua tendenza a lavorare in serie. Lambri si pone in dialogo con il lavoro di artisti come Donald Judd, Robert Irwin, Lygia Clark e Lucio Fontana oltre che il lavoro di architetti come Álvaro Siza, Walter Gropius, Marcel Breuer, Mies van der Rohe, Luis Barragán, Rudolph Schindler, Paulo Mendes da Rocha e Giuseppe Terragni, tra gli altri.
L’allestimento della serie Untitled (Sheats-Goldstein House), 2007, nel parterre del PAC, coinvolge anche un altro importante architetto: l’italiana Lina Bo Bardi, che nel 1957 ricevette l’incarico per la progettazione del nuovo Museo di Arte Moderna di San Paolo del Brasile (MASP). Le dieci fotografie selezionate sono esposte sui cavalletti realizzati da Bardi per il museo brasiliano, qui riprodotti in collaborazione con l’Instituto Bardi di San Paolo.
Nata a Como nel 1969, Luisa Lambri attualmente vive a Milano. Il suo lavoro è stato esposto alla Quadriennale di Roma (2020 e 2005), alla Triennale di Cleveland (2018), alla Biennale di Architettura di Chicago (2017), alla Biennale di Liverpool (2010) e alla Biennale di Venezia (Architettura 2010 e 2004; Arte 2003 e 1999). Le hanno dedicato mostre personali il Met Breuer di New York (2017) e l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (2012), l’Hammer Museum di Los Angeles (2010), il Baltimore Museum of Art (2007), la Menil Collection di Houston (2004) e Kettle’s Yard di Cambridge (2000), e le sue opere sono state esposte in numerose collettive, tra le tante al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh (2019 e 2006), alla Tate Modern di Londra (2018), al Museum of Contemporary Art di Chicago (2009). Il lavoro di Lambri è incluso inoltre in diverse collezioni, tra le quali il Museum of Modern Art di San Francisco, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles e il Solomon Guggenheim Museum di New York.
La mostra è co-curata da Diego Sileo e Douglas Fogle, e sarà accompagnata da un catalogo bilingue che comprende le immagini delle opere esposte, le vedute di installazione e nuovi saggi critici.
L’arte di Luisa Lambri ruota attorno alla condizione umana e al suo rapporto con lo spazio, toccando ambiti come la politica della rappresentazione, l’architettura, la storia della fotografia astratta, il modernismo, il femminismo, l’identità e la memoria. Il titolo della mostra è un omaggio a Carla Lonzi che nel 1969 pubblicava Autoritratto, una raccolta di interviste ad artisti dell’avanguardia che ne restituiva una dimensione privata. Allo stesso modo Lambri costruisce letture personali e intime dei soggetti delle sue fotografie e incoraggia un dialogo tra osservatore, opera d’arte e spazio. Luce, tempo e movimento giocano un ruolo importante nei suoi lavori, dove lievi differenze riflettono il movimento dell’artista nello spazio. Lambri usa l’architettura per creare le sue immagini e non le immagini per documentarla, rivelando dettagli marginali di architetture moderniste o sculture minimaliste iconiche. Al PAC le sue opere si relazionano con le qualità uniche dell’architettura disegnata da Ignazio Gardella, per la quale la mostra è stata appositamente sviluppata.
UNTITLED (AMBIENTE SPAZIALE), 2012; UNTITLED (SCHINDLER HOUSE), 2007
In questa mostra pensata direttamente in relazione all’architettura di Ignazio Gardella, insieme ai capolavori dell’architettura modernista, lo sguardo di Luisa Lambri si è rivolto al lavoro di quegli artisti che hanno indirizzato il suo interesse verso gli aspetti fenomenici del luogo e ispirato i suoi pensieri sullo spazio: Larry Bell e Robert Irwin di Light and Space Movement, Donald Judd, Lygia Clark e Lucio Fontana.
Nel 2012, in occasione della mostra dedicata alla ricostruzione di sei Ambienti Spaziali di Lucio Fontana alla Gagosian Gallery di New York, ha fotografato l’Ambiente spaziale realizzato per Documenta 4 di Kassel del 1968, una sala completamente bianca con un percorso labirintico che conduceva a una parete con un pannello in gesso bianco con un grande “taglio” verticale. Le fotografie – sottili variazioni della porzione inferiore del taglio ottenute scattando da punti di vista leggermente diversi – smaterializzano l’ambiente e annullano l’opera in un gesto di appropriazione e, allo stesso tempo, ne ricreano il senso profondo di una dimensione “altra”.
Nella prima sala le immagini del taglio di Fontana trovano una corrispondenza visuale e ideale nella fotografia della Schindler House, la casa-studio a West Hollywood progettata dall’architetto Rudolph Schindler nel 1922, perfetto esempio della space architecture. La fotografia è un ritratto etereo del lavoro dell’architetto ed evoca l’idea di soglia, di flusso tra interno ed esterno propria dell’edificio, senza rivelarne gli aspetti più iconici.
Con queste immagini, dialoga anche una delle fotografie dedicate all’architetto Richard Neutra della serie Untitled (Strathmore Apartments), 2002, collocata in uscita dalla mostra, in cui il motivo orizzontale delle veneziane attraversate dalla luce diviene filtro che dilata lo spazio oltre la parete.
UNTITLED (100 UNTITLED WORKS IN MILL ALUMINUM, 1982–86), 2012; UNTITLED (BICHO INVERTEBRADO), 2013
La simmetria delle fotografie del taglio di Lucio Fontana si ritrova nella serie di fotografie dedicate ai 100 Untitled Works in Mill Aluminum (1982-86) di Donald Judd esposti alla Chinati Foundation a Marfa, Texas. Luisa Lambri ha eluso la tridimensionalità del parallelepipedo in alluminio a favore di un’astrazione bidimensionale in cui lo scatto fotografico coglie le sottili variazioni di luce e colore generate dai riflessi sulla superficie satinata. La percezione soggettiva dell’installazione, dispiegata nella sequenza fotografica, anima ogni immagine di una propria carica emotiva e poetica, e si accorda alla serialità della pratica minimalista di Judd.
Questo dialogo estetico e concettuale con il lavoro degli artisti è evidente anche nella fotografia di Bicho Invertebrado di Lygia Clark, opera che richiede uno stretto confronto visivo e spaziale da parte dell’osservatore. Lambri ha affermato che se il suo lavoro non è esplicitamente femminista, tuttavia il tema del femminismo è qualcosa a cui è particolarmente sensibile, infatti, ha avuto particolare attenzione per le opere di artiste donne e ha fotografato, per esempio, l’interno di alcuni Bichos di Lygia Clark e le sculture di Charlotte Posenenske e Barbara Hepworth.
All’interno della disposizione simmetrica delle fotografie dell’opera di Judd nella sala del PAC, il dettaglio della scultura di Lygia Clark mette in atto uno scarto che trasforma la visione complessiva dell’ambiente da parte del visitatore.
UNTITLED (CENTRO GALEGO DE ARTE CONTEMPORANEA), 2008
Dal 1996 Luisa Lambri fotografa interni vuoti, case private o edifici noti di grandi architetti, evitando le viste familiari e complessive, ma concentrandosi con consapevolezza su dettagli secondari o marginali attraverso una percezione soggettiva dello spazio.
Nella serie di fotografie dedicate al Centro Galego de Arte Contemporánea dell’architetto Àlvaro Siza a Santiago de Compostela (1988-93) – realizzate in occasione della sua permanenza presso la Fundación RAC di Pontevedra nel 2008 –, il processo di decostruzione dello spazio porta Lambri a concentrarsi su un unico elemento dell’edificio. L’angolo fotografato è formato dall’incontro di due muri, di cui uno più basso che suggerisce un’apertura su un’altra stanza a destra. Le fotografie, scattate in differenti momenti del giorno, mettono
in scena le qualità transitorie della luce e ammorbidiscono la rigida geometria dell’angolo. Ai margini del discorso critico sull’architettura, spesso definita per le sue aperture funzionali, porta e finestra, l’angolo diviene spazio vuoto, silenzio, immobilità, raccoglimento intimo, luogo in cui rifugiarsi in un microcosmo generato dall’incontro di piani. Proprio per questo, gli angoli delle sale del PAC sono stati lasciati intenzionalmente vuoti, sollecitando in chi guarda un dialogo visivo e percettivo tra fotografie e spazio reale.
Le fotografie attivano lo spazio vuoto, facendolo emergere come componente stessa della mostra.
UNTITLED (BARRAGAN HOUSE), 2005
Come dichiarato più volte da Luisa Lambri, le fotografie riflettono il suo fare esperienza di un’architettura e di uno spazio: il suo lavoro non riguarda tanto gli edifici, quanto le modalità del suo incontro con gli spazi interni che si realizza nel tempo trascorso ad “abitare” e osservare l’architettura. L’artista crea un crescente e personale rapporto di intimità con l’ambiente, soprattutto negli interni di case private, come la casa-studio di Luis Barragán edificata
a Città del Messico nel 1948.
Un’intimità che Lambri ricrea in questa sala più raccolta del PAC: la successione delle fotografie indirizza lo sguardo lungo la crescente intensità luminosa dell’immagine e conduce il visitatore all’interno dello spazio, per raccogliersi nell’angolo attorno a un’immagine più piccola di una finestra aperta sull’esterno. Fotografie e spazio sono inseparabili e da vedersi come
un tutt’uno.
Di questa serie, in mostra sono presentate cinque fotografie di una finestra quadrata, suddivisa da quattro solidi scuri, aperti in varie combinazioni
e gradi, che permettono alla luce di inondare l’immagine con possibilità e intensità differenti, alludendo così allo scorrere del tempo.
UNTITLED (BARCELONA PAVILION), 2000
Il Barcelona Pavilion è una delle opere più iconiche dell’architetto Ludwig Mies van der Rohe, costruito in occasione dell’Esposizione Universale di Barcellona del 1929 e riedificato tra il 1983 e il 1986: per la prima volta Mies van der Rohe introdusse i principi della pianta libera e degli spazi fluenti, creando un’architettura aperta, caratterizzata dal dinamismo e dal ritmo delle scansioni delle pareti, nonché dal dialogo tra pieni e vuoti, tra densità e riflettenze.
Luisa Lambri afferma che gli edifici storici aiutano ad avere esperienza dello spazio sia da un punto di vista storico e intellettuale, sia in modo intuitivo ed emozionale. Fotografa, infatti, solo spazi per i quali percepisce affinità. Sente lo spazio entro cui si muove e vi si allinea con leggere differenze. La sua pratica fotografica agisce nell’intersezione di architettonico e fenomenologico: la soggettività ha la precedenza sull’oggettività e il frammento architettonico è elevato a luogo di prominenza sulla totalità dell’edificio stesso.
Secondo un processo di astrazione, questa serie fotografica ritaglia diagonalmente l’incontro di linee, superfici, aperture e chiusure, trasparenze
e riflessi messi in gioco dalle pareti mobili in vetro poste davanti alle lastre di pietra pregiata, che sono l’aspetto topico dell’edificio di Mies.
Anche in questo caso, le fotografie di Lambri dialogano con lo spazio disegnato da Ignazio Gardella, e, in particolar modo, con la vetrata che si apre sul giardino.
UNTITLED (STRATHMORE APARTMENTS), 2002
Nella serie di fotografie degli Strathmore Apartments costruiti a Los Angeles da Richard Neutra nel 1937 – realizzate durante il suo soggiorno come artist-in-residence presso il MAK Center for Art and Architecture nel 2002 –, Lambri concentra lo sguardo su un dettaglio della finestra, creando una propria poetica verità del luogo che viene ritratto.
Il motivo orizzontale delle stecche delle veneziane diviene un filtro diversamente modulabile con cui regolare l’apertura sul mondo e il propagarsi della luce; l’architettura fotografata, ma anche la parete fisica del PAC, diventano così una membrana porosa, quasi un’entità vivente che respira.
La disposizione delle opere nella sala, infatti, crea una relazione tra immagini e spazio fisico, suggerendo un ritmo spaziale e temporale che guida l’esperienza del visitatore.
La serie fotografica permette di cogliere la variazione della luce solare nel corso del tempo e in base al diverso grado di apertura delle persiane:
in alcune immagini, il fogliame esterno è visibile o l’elemento architettonico divide in due l’immagine creando un gioco di simmetrie e di assi orizzontali e verticali molto pittorico; in altre, la luce inonda lo spazio e cancella i dettagli. Il mondo sbiadisce lentamente in una morbida astrazione geometrica.
UNTITLED (SHEATS-GOLDSTEIN HOUSE), 2007
Il processo creativo di Luisa Lambri è evidente in quest’ampia selezione di fotografie provenienti dalla serie Untitled (Sheats-Goldstein House), progettata sulle colline di Los Angeles da John Lautner nel 1963. Lambri si è concentrata sui lucernari e sul modo in cui l’architetto li ha usati con grande sensibilità per dare continuità spaziale a interno ed esterno; osserva e coglie come gli spazi fluiscono dall’interno all’esterno, dove la natura può collidere con l’architettura. Le fotografie inquadrano un mondo in costante mutamento sopra i nostri occhi: alcune immagini mostrano intrichi di rami che forniscono un rifugio organico alla casa, altre creano tenui ombre atmosferiche, altre ancora acquisiscono una qualità pittorica o smaterializzano gli elementi naturali nella luce solare, tanto da fluttuare in uno spazio illuminato e illeggibile, con una resa visuale che ricorda certe cianotipie di Anna Atkins degli anni quaranta dell’Ottocento o gli Equivalents di Alfred Stieglitz, ma che è debitrice delle ricerche di Larry Bell e Robert Irwin.
Le fotografie – montate su lastre di vetro autoportanti, in un allestimento che riprende quello progettato da Lina Bo Bardi per il Museu de Arte de São Paulo
in Brasile e che rende visibile ciò che normalmente non è, il retro di un’opera con la sua storia nascosta – perpetuano il dialogo interno/esterno che raffigurano
e guardano vis-à-vis la natura del giardino oltre le grandi vetrate del PAC. Da un lato, la collocazione alternata e ravvicinata delle fotografie rivolte verso l’esterno costringe il visitatore a camminare tra le opere stabilendovi un rapporto di personale partecipazione; dall’altro, la possibilità di vedere le fotografie dal giardino permette di ribaltare il rapporto interno/esterno e di percepire in modo accentuato la fluttuazione delle immagini nello spazio.
UNTITLED (GROPIUS HOUSE, #10), 2005
Nel 2005 Luisa Lambri ha realizzato una serie fotografica presso la Gropius House, residenza privata di Walter Gropius, costruita nel 1938 con la collaborazione di Marcel Breuer a Lincoln in Massachusetts, quando iniziò a insegnare architettura alla Graduate School of Design dell’Università di Harvard. La casa integra i dettami dell’architettura modernista della Bauhaus con la tradizione dell’edilizia del New England e con l’uso di materiali innovativi.
L’immagine di piccole dimensioni, raffigurante un vaso di fiori stagliato su una parete di vetro all’interno dell’edificio, rende quel senso di immediatezza e di intimità che la casa, ancora oggi, trasmette. È l’unica fotografia in bianco e nero che riceve il colore e la luce dall’architettura del PAC.
UNTITLED (FARNSWORTH HOUSE), 2016; UNTITLED (S.R. CROWN HALL), 2017
Le serie fotografiche sono disposte in questa sala in modo da rimandare visivamente e idealmente al dialogo dell’architettura con la natura esterna, reso possibile dalla grande vetrata del piano inferiore del PAC. Le immagini della Farnsworth House, realizzata da Ludwig Mies van der Rohe a Plano, in Illinois (1945-51), e della S.R. Crown Hall (1950-56), sede del College of Architecture presso l’Illinois Institute of Technology di Chicago, svelano, infatti, l’anima degli edifici architettonici e l’idea di una parete svuotata che diventa filtro da e verso il mondo esterno.
UNTITLED (MANETTI SHREM MUSEUM OF ART), 2016; UNTITLED (THE MET BREUER), 2016
Il processo di astrazione geometrica dell’elemento architettonico evidente nelle fotografie della Crown Hall – in cui Mondrian è il modello dichiarato – e del Manetti Shrem Museum of Art presso l’Università della Californa a Davis (2013-16), raggiunge effetti quasi metafisici negli scatti del Met Breuer di New York (1966), che narrano il dialogo tra semplicità, vuoto e silenzio, da un lato, e avvolgente dimensione spirituale che si manifesta quando si trascorre del tempo all’interno dell’edificio, dall’altro.
UNTITLED (CASA DEL FASCIO), 1999
Per Luisa Lambri l’architettura esiste in termini astratti e soggettivi. Le fotografie riflettono la sua interazione con lo spazio, registrano un costante cambiamento di percezione spaziale e formale in cui la memoria si intreccia con lo scorrere del tempo, come è testimoniato dalla fotografia della Casa del Fascio (1932-36) di Giuseppe Terragni a Como. Più che un’accurata rappresentazione di un edificio, il suo lavoro è una pratica esistenziale vicina alla performance e alla teatralità. Gli spazi scelti parlano di lei, sono un riflesso della sua persona. Le fotografie sono autoritratti, privi della sua rappresentazione, ma pieni delle sue esperienze personali, in cui storie e immagini collettive e individuali di sovrappongono.
UNTITLED (CASA FERNANDO MILLÁN), 2003
Come artist-in-residence della Colecção Teixeira de Freitas, nel 2003 Luisa Lambri ha trascorso alcuni mesi in Brasile, fotografando importanti edifici di architetti brasiliani o attivi in Brasile, quali Oscar Niemeyer, Paulo Mendes da Rocha e Lina Bo Bardi.
Il dettaglio di una finestra della Casa Fernando Millán costruita da Paulo Mendes da Rocha a San Paolo tra il 1970 e il 1974 è il soggetto della serie fotografica di questa sezione. Il suo sguardo si sofferma su una finestra a ribalta socchiusa in un modo che sottolinea le linee diagonali di apertura verso l’esterno, verso una natura lussureggiante di foglie di philodendron che sembrano voler occupare lo spazio creato dall’uomo. La sequenza di fotografie dello stesso frammento di architettura o dal medesimo punto di vista registra minime variazioni di inquadratura e di luce ed esprime il senso della durata e dello scorrere del tempo. Immagini di tale morbidezza di toni e di colori assumono un carattere scultoreo aprendo visivamente lo spazio: le cinque fotografie diventano cinque punti di sfondamento della parete. Le fotografie di Lambri catturano la nostra attenzione e accendono la nostra immaginazione o memoria: da esse possiamo estrarre un frammento di vita.
UNTITLED (STRATHMORE APARTMENTS), 2002
Esposta in uscita della mostra, questa fotografia della serie Untitled (Strathmore Apartments) – dedicata all’architetto Richard Neutra – dialoga con la finestra dell’ingresso del PAC, a ribadire la stretta relazione tra le fotografie di Luisa Lambri e l’architettura di Ignazio Gardella.
Immagini come queste, in cui la luce attraversa lievissima la geometria delle stecche della veneziana, per Lambri parlano della stessa bianchezza monocroma e dell’organizzazione strutturale intrinseca al farsi dell’opera, propria degli Achromes di Piero Manzoni.
Le fotografie di Lambri rivelano un interesse metalinguistico per il linguaggio, gli aspetti formali e gli elementi tecnico-costitutivi delle pratiche artistiche, e, nello specifico, del mezzo fotografico, inteso come estensione dell’artista stessa.
Luisa Lambri (Como, 1969) attualmente vive a Milano. Il suo lavoro è stato esposto alla Quadriennale di Roma (2020), alla Triennale di Cleveland (2018), alla Biennale di Architettura di Chicago (2017) e alla Biennale di Venezia (Architettura 2010 e 2004; Arte 2003 e 1999). Ha tenuto mostre personali al Met Breuer di New York (2017), all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (2012), all’Hammer Museum di Los Angeles (2010), al Baltimore Museum of Art (2007), alla Menil Collection di Houston (2004), e le sue opere sono state esposte in numerose collettive tra cui la Tate Modern di Londra (2018) e il Museum of Contemporary Art di Chicago (2009). Il lavoro di Lambri è incluso in diverse collezioni, tra le quali quelle del Museo d’Arte Moderna di San Francisco, del J. Paul Getty Museum di Los Angeles e del Solomon Guggenheim Museum di New York.