a cura del Comitato Scientifico del PAC
Torna PERFORMING PAC - in una nuova veste tutta estiva - il format dedicato ad un tema attuale nell’ambito degli studi delle arti visive contemporanee. Una piattaforma aperta al pubblico che nel 2020 indaga il rapporto tra arte contemporanea e musica, sviluppato attraverso opere video, materiali d’archivio, interventi di artisti, critici e curatori che esplorano l’interazione tra suono e immagine nella pratica e nella ricerca artistica contemporanea.
Il percorso espositivo si sviluppa attraverso i lavori di 5 artisti che utilizzano suono e musica nella loro ricerca: Barbara and Ale, Jeremy Deller con Nick Abrahams, Pamela Diamante, Invernomuto e João Onofre.
Nella project room sarà possibile vedere una selezione di videoclip musicali diretti da sette tra i più importanti e visionari registi contemporanei - Anton Corbijn, Chris Cunningham, Jonathan Glazer, Michel Gondry, Spike Jonze, Mark Romanek, Stephane Sednaoui – raccontano le incursioni dell’arte nell’universo musicale pop e rock. Nel parterre sarà esposta l’installazione di Marie Cérisier, giovane artista di Roquebrune-Cap-Martin, che con Pile à CD (Pila di CD/ Pila da cedere) costruisce la sua memoria personale e immaginaria in un bilico “sonoro” regalandone un frammento al pubblico, tra “équilibre” e “déséquilibre”.
Madrina ideale è Laurie Anderson, icona dell'arte multimediale, a cui il PAC rende omaggio proiettando per la prima volta il video della performance realizzata nel 2003 dall’artista newyorkese proprio al PAC in occasione della sua antologica The Record of the Time a cura di Jean Hubert Martin e Thierry Raspail.
A luglio grazie alla collaborazione con la Cineteca Italiana, sarà proiettato nel cortile del PAC il lungometraggio Heart of a dog di Laurie Anderson (2015), la storia che ha incantato e commosso la stampa alla Mostra del Cinema di Venezia.
Barbara and Ale, The sky is falling, 2017
Jeremy Deller con Nick Abrahams, Our Hobby Is Depeche Mode, 2006
Pamela Diamante, GENERARE CORPI CELESTI - ESERCIZI DI STILE, 2020 (musica Marco Malasomma) e Note, 2017
Invernomuto, Vers l'Europa deserta, Terra Incognita, 2017
João Onofre, Untitled (N'en Finit Plus), 2010-11
Eventi
Torna in versione estesa PERFORMING PAC, la rassegna annuale dedicata ad un tema attuale nell’ambito degli studi delle arti visive contemporanee, aperta non solo agli addetti ai lavori, ma anche al pubblico di non specialisti. Questa terza edizione, con il titolo MADE of SOUND, sviluppa il rapporto tra arte e musica attraverso opere video, materiali d’archivio, interventi di artisti, critici e curatori che esplorano l’interazione tra suono e immagine nella pratica e nella ricerca artistica contemporanea.
THE RECORD OF THE TIME
Dall’11 novembre 2003 al 15 febbraio 2004, il PAC presenta The Record of Time, prima antologica dedicata a Laurie Anderson, a cura di Jean Hubert Martin e Thierry Raspail. L’esposizione presenta novanta lavori che ripercorrono la carriera dell’artista newyorkese dall’inizio degli anni Settanta fino ai primi anni Duemila. Story-teller ancor prima che artista visiva e musicista, Laurie Anderson descrive, in catalogo e negli apparati per il pubblico, un immaginario fatto di voce, suono, parole, spazi e “alter ego”. Attraverso fotografie e materiali d’archivio si ricostruisce la storica mostra, parte del programma interculturale e interdisciplinare dell’allora direttore artistico Martin.
DUETS ON ICE
Per la prima volta il PAC espone la documentazione video della performance Duets on Ice, presentata originariamente dall’artista nel 1975 a New York e a Genova, che Laurie Anderson realizza proprio in occasione dell’inaugurazione della sua mostra al PAC. Il video, realizzato nel 2003, è presentato su due canali: il primo documenta la performance in tutta la sua durata, mentre l’altro è un racconto della mostra e delle opere “attivate” dal pubblico.
“Mentre suonavo il violino, un altoparlante collocato al suo interno riproduceva un pezzo per violino pre-registrato, un brano in loop che non aveva né inizio né fine. Avevo però bisogno di un congegno per determinare il tempo, per esprimere la durata. Così ho pensato di mettermi un paio di pattini con le lame immobilizzate da blocchi di ghiaccio: quando il ghiaccio fondeva e io perdevo l’equilibrio, terminava il concerto. A Genova, durante il concerto, facevo una breve pausa per rivolgermi al pubblico che mi stava ascoltando e spiegare nel mio stentato italiano che suonavo quelle canzoni in ricordo di mia nonna. Raccontavo che il giorno della sua morte ero andata a camminare su un lago ghiacciato. C’erano molte anatre selvatiche che starnazzavano e facevano un gran sbattere di ali. Ero arrivata molto vicino a loro, eppure non volavano via. Poi ho scoperto che non potevano muoversi perché avevano le zampe bloccate da uno strato di ghiaccio.”
VERS L’EUROPA DESERTA, TERRA INCOGNITA
Muovendosi in una periferia allargata che si espande dall’Italia alla Francia, Vers l’Europa deserta, Terra Incognita mira a decostruire i modelli della rappresentazione di sé in chiave creativa a cavallo tra mise-en-scène e documentazione del reale tramite l’uso di video e storie condivise su Instagram e Snapchat.
Il video mostra Bené e Macha Django, due giovani attori della crew dei PNL (duo musicale proveniente dalla banlieu parigina Les Tarterêts), muoversi attraverso alcuni dei luoghi cardine della capitale francese quali il Theatre du Châtelet e la Salle des fêtes dell’Hôtel de Ville: un racconto astratto bruscamente interrotto da immagini della coppia davanti alle Vele di Scampia (NA), collante e al tempo stesso glitch della narrazione. Proprio alle Vele è stato girato il video della canzone più famosa dei PNL Le monde ou rien diventata poi il grido di battaglia delle manifestazioni parigine contro la riforma del lavoro.
I protagonisti sembrano bloccati in un loop in cui la rappresentazione di sé è stata sostituita dall’eterna posa per un pubblico assente, un’Europa ormai deserta che funge al tempo stesso da palcoscenico e da fondale. Questa continua ripetizione con minime variazioni fa emergere una sorta di ritornello: è compito della colonna sonora, commissionata ai musicisti Robert Girardin e Lorenzo Senni, interrompere la ripetizione e al tempo stesso metterla in evidenza, suggerendo stati d’animo differenti per altrettante variazioni del video.
BIO
Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi collaborano come INVERNOMUTO dal 2003. Sebbene il loro lavoro si concentri soprattutto sull’immagine in movimento e il suono, gli artisti ricorrono a scultura, performance e editoria per completare il loro progetto. Hanno esposto in mostre personali e collettive in musei italiani e internazionali tra cui: TATE, Londra; Kunsthalle Wien,Vienna; MAXXI, Roma; Museion, Bolzano; Centre Pompidou, Parigi; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Nel 2017 Invernomuto vincono il Museion Prize 1, Bolzano e nel 2018 sono finalisti del MAXXI Bvlgari Prize, Roma e del MAC International 2018, Belfast.
THE SKY IS FALLING
Alpi svizzere: 2328 metri di altitudine.
-10°C. Vento, neve, nubi e sole.
Un vibrafono adagiato su un lago ghiacciato.
Il titolo e l’ambientazione: non è stato detto altro a Elio Marchesini, percussionista e membro del Divertimento Ensamble, nell’invitarlo a essere protagonista del film. Un’autostrada immaginaria tra le montagne dove corre il vento, che rompe il ghiaccio e disegna il paesaggio innevato, e dove il vibrare del metallo dialoga, scompare e resiste alle folate continue.
Il whiteout è una disfunzione visiva causata dal biancore della neve e delle nubi che disorienta violentemente: il cielo sta cadendo. Quel che resta poi, è un individuo solitario che suona un vibrafono, che si ostina a non perdere il controllo, smarrito nel paesaggio.
BIO
Barbara Ceriani Basilico (Saronno, 1979) e Alessandro Mancassola (Arzignano, 1979) hanno iniziato a lavorare insieme nel 2005. Tra gli altri hanno esposto i loro video al Centre Pompidou, Parigi; PAC, Milano; Rauma Art Museum, Finlandia; Fondazione Merz, Torino; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia; National Art Gallery di Tirana. Barbara conduce laboratori creativo/esperienziali e Ale insegna video nelle Accademie di Brera, G. Carrara e Santagiulia.
OUR HOBBY IS DEPECHE MODE
Il documentario di Jeremy Deller e Nick Abrahams Our Hobby is Depeche Mode (2006) racconta la storia di fede assoluta e devozione del cosiddetto fandom dei Depeche Mode: una riflessione bizzarra, divertente, triste e spesso toccante su come il pubblico sposi intimamente la cultura pop, rendendola parte della propria vita.
Commissionato nell’ambito di una anniversary release programmata dall’etichetta dei Depeche Mode, la Mute Records, il film di Deller e Abrahams ne segue l’appassionata fanbase internazionale, documentandone l’entusiasmo, i rituali e il sostegno sfegatato. Nel giro di poche settimane, infatti, Deller e Abrahams hanno viaggiato in Messico, Stati Uniti, Germania, Romania, Brasile e Canada per incontrare e filmare i fan della synth band, esplorando il loro profondo legame con il gruppo.
Il film presenta individui come Mark, il cui amore per i Depeche Mode lo ha aiutato a superare un periodo in cui si era ritrovato a vivere per strada a Londra; Orlando, che a Los Angeles ha allestito in loro onore un vero e proprio santuario illuminato da candele e le migliaia di giovani che si riuniscono ogni anno a Mosca il 9 maggio per celebrare il «Dave Day», appropriandosi della festa nazionale del «Giorno della Vittoria» che coincide con il compleanno di Dave Gahan, il frontman della band.
BIO
Jeremy Deller (Londra, 1966) ha studiato Storia dell’arte al Courtauld Institute e alla Sussex University, e iniziato a produrre opere d’arte all’inizio degli anni Novanta, spesso esponendole al di fuori dei circuiti convenzionali. Nel 2004 ha vinto il Turner Prize con il documentario Memory Bucket e nel 2013 ha rappresentato la Gran Bretagna alla 55a Biennale di Venezia. Negli ultimi vent’anni ha prodotto progetti che hanno influenzato la mappa convenzionale dell’arte contemporanea. Deller ha esposto in numerose mostre personali nei più importanti musei e manifestazioni artistiche internazionali tra cui The Modern Institute, Glasgow; Skulptur Projekte, Münster; Palais de Tokyo, Parigi; New Museum, New York.
UNTITLED (N’EN FINIT PLUS)
Untitled (n’en finit plus) indaga il tema dell’appropriazione, declinato sia nella pratica artistica che nella musica pop, e la possibilità che questi due mondi paralleli si sovrappongano.
Il video mostra la performance notturna di un’adolescente sola che canta “La nuit nʼen finit plus” di Petula Clark all’interno di un’enorme cavità appositamente scavata in un prato dentro a un parco naturale.
Registrata nel 1970 quando Petula Clark aveva 38 anni, “La nuit nʼen finit plus” è una cover di “Needles and Pins” di Jackie DeShannon. Nelle parole di Clark, l’oggetto del desiderio è privo di genere: potrebbe trattarsi di una persona, una cosa o un luogo, un contesto indeterminato.
Scegliendo di far cantare questo testo a una ragazzina, Onofre prende deliberatamente le distanze dall’estrema soggettività dell’interpretazione di Petula Clark per rivelare il divario esistente tra la “voce” cantante e il significato delle parole cantate, con ogni probabilità in parte incomprensibili a un’adolescente dalla personalità ancora immatura e incapace di esprimersi come un adulto. Le immagini del video – come nei precedenti lavori dell’artista – aggiungono ulteriori associazioni narrative all’atto performativo di interpretare una canzone, andando a delineare prospettive inattese.
BIO
João Onofre (Lisbona, 1976) ha studiato alla Facoltà di Belle Arti dell’Università di Lisbona e ha concluso il suo percorso al Goldsmiths College a Londra nel 1999. Il suo lavoro, in gran parte dedicato alla produzione di video o installazioni video, mette in scena situazioni vicine all’assurdo, che mettono alla prova i limiti dei soggetti come quelli dello spettatore con azioni e spettacoli. Onofre ha preso parte a numerose esposizioni collettive internazionali, tra cui la 49° Biennale di Venezia; Performing Bodies alla Tate Modern di Londra. I suoi lavori si trovano in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo come: Museum of Contemporary Art, Chicago; Centre Georges Pompidou, Parigi; Fondazione Weltkunst, Zurigo.
GENERARE CORPI CELESTI – ESERCIZI DI STILE
Il futuro dell’advertising mira all’utilizzo del cielo come un immenso cartellone pubblicitario: attraverso l’invio nell’atmosfera di un display orbitale, i loghi delle più famose multinazionali volteggiano come simulacri di stelle millenarie. L’opera riflette l’immagine dell’uomo antropocentrico, creatore in grado di compiere qualsiasi azione, persino generare corpi celesti. Nel mettere in atto la sua volontà di potenza, deve necessariamente distruggere e in questo futuro distopico, il nostro destino sarà divenire ciechi di fronte all’infinito.
Il video è accompagnato dalla voce di Paolo, ipovedente, che narra l’emozione del ricordo di poter osservare le stelle: le sue parole doppiate in varie lingue sono state scomposte dall’artista in collaborazione con il composer Malasomma e traslate in musica.
Ad amplificare l’idea di corpo celeste sono 2 grandi tele lunghe 10 metri dipinte da Antonio, non vedente dalla nascita, che raffigurano ciò che lui non ha mai potuto osservare: un cielo stellato.
NOTES
La compressione di terra rossa che caratterizza la filettatura della pietra di Apricena è riconducibile alle ere geologiche tardo miocene – primo pliocene, periodo in cui si ebbe l’emersione delle prime terre dalle acque marine e le prime forme di vita incominciarono a popolare la terra. Susseguendosi, specie dopo specie, con l’alternanza di vita e morte, esse hanno lasciato una testimonianza del loro passaggio ad oggi custodita nella sedimentazione della pietra.
Il tracciato dalla forma linearmente nervosa della sedimentazione del filetto rosso è stato disegnato a grafite con un grafico frequenza-intensità, che riporta frequenza in Hertz e intensità espressa in decibel.
Il segno appena pronunciato e l’utilizzo della grafite su pietra riconducono ad una grammatica minimale, in cui alla materia non viene chiesto di assumere nuove forme per creare rappresentazioni oggettuali, ma bensì al fruitore di cambiare il punto di vista con cui osserva l’essenza stessa di tutte le cose.
BIO
Pamela Diamante (Bari, 1985) ha conseguito il diploma in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari nel 2016. In precedenza, ha lavorato nell’esercito italiano per cinque anni. Nel 2019 ha vinto l’Artists Development Programme della European Investment Bank, nel 2017 il Premio Italia-Argentina del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Diamante ha esposto in numerose mostre personali e collettive a livello internazionale – ad esempio: Concretespace a Miami; Kooshk, Teheran; MAXXI, Roma; Centro de Desarollo de las Artes Visuales, L’Havana. Il suo più recente solo show è stato Welcome Apocalypse nel 2018 presso la galleria Gilda Lavia di Roma.
PILE À CD (PILA DI CD/ PILA DA CEDERE)
La storia individuale e collettiva di ciascuno è caratterizzata anche dal tappeto sonoro della musica che ci accompagna nella nostra quotidianità. A partire da questa impressione, Marie Cérisier dà forma alla sua memoria personale e immaginaria, impilando i suoi CD, tra “équilibre” e “déséquilibre”, in una specie di precaria stele e invitando gli spettatori a smontarla e a portarsela via pezzo per pezzo.
ISTRUZIONI PER L’USO: nell’elenco i CD sono in ordine alfabetico. Nella pila i CD sono mescolati. Prendi un CD che ti piace. Ricomponi come vuoi la pila in equilibrio, con i dorsi dei CD tutti da una parte e il coperchi in alto. Cancella dal foglio il titolo del CD che hai scelto e metti affianco il tuo nome, soprannome, pseudonimo o un segno e la data di quando lo hai preso.
BIO
Marie Cérisier (Roquebrune-Cap-Martin, 1996). Ha frequentato l’Ecole des Beaux-Arts di Nizza. Fin dall’adolescenza è ossessionata dal Cabanon di Le Corbusier. Da quel modello ha derivato l’idea della riduzione agli elementi essenziali della composizione messa in atto con installazioni basate su procedimenti narrativi, simbolici e autoriflessivi.
↳ 9.9 ore 18
IL SEGRETO | Performance by Annamaria Ajmone
Un’azione coreografica messa in scena da un/una o più performer con tre macchine sonore rotanti, Rose Spinner, immaginate e realizzate da Annamaria Ajmone con Francesco Cavaliere. Scopri di più
↳ 11.9 ore 21:30
BLACK MED, CHAPTER IV | Performance by Invernomuto
Black Med sperimenta l’interazione tra immagine in movimento e suono. Un dj set supportato da proiezioni che intercetta le traiettorie tracciate dai suoni che attraversano il Mediterraneo. Scopri di più
↳ 12.9 ore 18
MAKING ROOM FOR SOUND | Talk di Andrea Lissoni in dialogo con Invernomuto e Iolanda Ratti
Nel museo d’arte contemporanea lo spazio per il suono esiste ed è probabilmente sempre esistito. Come rendere l’invisibile o rimosso inevitabile? Scopri di più
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